domenica 16 ottobre 2011

Una ribellione PER invece che CONTRO


"Una ribellione PER invece che CONTRO" è lo slogan che ho scelto per me stessa nel mese di Gennaio, leggendo un libro semplice, che mi ha regalato un'idea stupenda, oltre la stessa frase. Già, Delirium è proprio intenzionata a cambiare.
E' il 15 Ottobre, saranno le 12:30, e mi trovo in Piazza della Repubblica.
Supero la Feltrinelli International, percorro trecento metri e la mia visuale sulla piazza viene offuscata da decine di bandiere del Partito Comunista, di SEL, di svariati sindacati, dei No Tav, e così via. Inorridisco. Io, che ho manifestato per anni accodata a quelle bandiere, riesco solo ad inorridire.
Mi dico subito che non ci sto, no, dover subire anche questo è troppo.
Ripeto in testa il mio slogan personale, "PER invece che CONTRO.. PER invece che CONTRO", mentre passeggio in cerca di gruppi apartitici e dalle vedute maggiormente ampie.
Non riesco a farmi una sana risata nel vedere ragazzi e adulti con dei cartelli in mano con cui danno contro al capitalismo, mentre assaporano voraci il loro Mc Menu.
Trovo il carro del Valle Occupato, i precari, e da qualche parte so che ci sono anche gli studenti.
Inizio a chiacchierare con un po' di persone e a fare amicizia.
Esprimo a chiare lettere il mio dissenso per quelle bandiere, per poi accorgermi a fine corteo, che non è stata sventolata una sola, dico una, bandiera dell'Italia.
Grazie alle varie persone che sapevo presenti alla manifestazione e a mia madre in ascolto del tg, mi tengo informata durante tutto il tragitto dei risvolti del corteo, nelle varie zone del percorso, tramite sms.
Abbiamo appena imboccato via Cavour, lasciandoci alle spalle piazza dei Cinquecento.
Veniamo superati da una cinquantina di ragazzoni vestiti di nero, con passamontagna in testa e spranghe, e gli sms al mio cellulare si fanno più frequenti e dettagliati poco dopo il loro rapido passaggio.
Mentre veloci e in fila serrata, passano i black bloc, strattono V che, ingenua, oltre avere i capelli rasati, ha ben pensato d'indossare per l'occasione una felpa nera con cappuccio.
Arriviamo sino al Colosseo ed è lì che ci fanno deviare dal percorso prestabilito.
Da lì a poco, anche a seguito della conoscenza casuale di ragazzi scampati alla guerriglia, io e V (che ha un treno per il Molise in serata stessa) decidiamo di abbandonare il corteo: percorriamo un lungo tratto a ritroso, sino al Colosseo, e poi sino alla fermata metro del Circo Massimo, accompagnate da A, un manifestante con cui avevamo socializzato poco prima.
Io e V, arrivate a Termini, ci fermiamo a chiacchierare davanti ad un caffè e ad una schweppes, mentre continua a ringraziarmi per averla tirata via dal marciapiede mentre passavano i BB di cui non si era accorta, arrivandole alle spalle.
Dopo ieri, mi ripeto, con ancora più insistenza, che voglio essere una ribellione Per invece che Contro.


Il "come eravamo" è utile, ma anche fuorviante e pericoloso;
il "come siamo" è importante e irrinunciabile;
il "come saremo" fondamentale.

- Giulio Carlo Argan -




giovedì 13 ottobre 2011

La mia vita tutta al rovescio: essere grandi da bambini ed essere bambini da grandi.


La prima volta che mi scoprii a dire "In un certo senso, sono stata la madre di mia madre" fu un paio d'anni fa.
Gli anni ti liberano da paure e ricordi dolorosi, cancellano momenti più o meno lunghi della nostra esistenza. Eliminare attimi della propria esistenza è come denudarsi.
Più la mia anima si spoglia, più ringiovanisco.
Giovane.... Cosa intendo per giovane? Mi riferisco, in genere, ai ragazzi tra i 16 ed i 20 anni.
Cosa fanno i giovani? Tutto quello che io a 16 anni non potevo fare, presa dal sopravvivere alle situazioni familiari.
"Non tutti i bambini hanno la fortuna di essere orfani", Renard.
Ho due partner, che non sono due "fidanzati", fossi pazza: sarebbe come scegliere di avere il doppio dei problemi.
Siamo tre persone molto diverse, di età diverse e con gusti diversi. Preferisco la compagnia di persone che non mi somiglino troppo: in compagnia di persone molto simili a me, resto spesso delusa ed annoiata. Con presunzione, finisco sempre per sentirmi più figa di quei miei semi sosia.
Quindi, siamo tre persone molto diverse, e coordinate nel nostro essere scoordinate, amo uno dei due e vengo amata dall'altro, ognuno riceve qualcosa dall'altro. Trascorriamo delle ore insieme, ma ognuno di noi ha poi il proprio lavoro, i propri impegni, i propri interessi, i propri amici.
Come patto, non siamo amici su Facebook, in modo da non cedere a tentazioni pericolose e/o morbose. Non ci sono vere regole ma, tra di noi sappiamo come deve funzionare: non si esce, non si viaggia e non si dorme in tre, e non ci s'intromette nei segreti degli altri due.
Non è un paradiso idilliaco, s'intende, e le gelosie sono all'ordine del giorno.
Non so descrivere come mi sento. Posso dire che per la prima volta, sono quella che esce salva da una situazione. Questa volta, a passarmela meglio degli altri, sono io.
Mentre il mio old man si affretta ad invecchiare, ed il mio toy boy si muta in un vero ometto, io mi denudo e assaporo la libertà da certe spine dell'anima.
I colori, la musica, il mondo hanno un senso diverso. Forse non migliore, ma diverso.
Sciotto. Parliamo di Sciotto, Delirium.
Sciotto è il mio attuale sfigometro. Quanto è grande Roma? Tanto grande. Come abbiamo fatto ad incontrarci, per caso, per ben tre volte nel giro di un anno?
Al teatro, gremito da sentirsi male, mi fanno accomodare in un palco dove avevano già fatto accomodare lui. Guardiamo lo spettacolo seduti a distanza di neanche due metri l'uno dall'altra. Un incubo.
Io, che sono sempre una grande, gli metto una mano sulla spalla e lo saluto con fare indifferente, prima di andarmene alla fine dello spettacolo.
Continuo a non mandare giù la cosa, però.
Ho duecento cose da fare al lavoro e sto pensando a Sciotto. O meglio, mi soffermo sulle beffe del caso.
Un cale mane. Questo è l'ultimo lapsus di Delirium.

martedì 6 settembre 2011

A ogni male ci sono due rimedi: il tempo e il silenzio. (Alexandre Dumas)


E' vero che non voglio sposarmi e che non mi sento ancora di avere figli ma, nessuna avrebbe mai potuto darti tutta la felicità di cui sono stata capace di colmarti la vita.
"Tu mi ami come mai nessun'altra donna ha mai fatto prima, come nessuna farà mai per me.".
Sapevo come renderti felice. Lo sai che sono speciale in tutto, rispetto alle altre.
Ciò che più mi fa male è scoprire che vivo meglio senza di te.


domenica 4 settembre 2011

"This is our decision, to live fast and die young."


La mia diplomazia fa a pugni col mio essere istintiva. Me lo sono ripetuto appena stamattina, dopo un'acchiappata furibonda con mio padre.
Mio padre cerca, fuori tempo massimo, di recuperare il rapporto che non abbiamo mai avuto, e non mostra grandi capacità nel farlo. Resto comunque sbalordita dai suoi buoni intenti.
Io sono "sbagliata, da sempre, si vedeva sin da quando ero molto, molto piccola". Sarà.
Il massimo su cui riesca ad interrogarmi, quando penso al mio futuro, è: "Che ho da mangiare per stasera a cena?".
Io vivo alla giornata, perché non riesco a fare altrimenti. E devo avere seri problemi se la gente intorno vede la cosa come un dramma, mentre io non riesco a capire dove risieda realmente il nocciolo della questione.
La mia vita è il nulla totale, agli occhi di molti: non sono laureata, non ho un lavoro fisso, non ho una casa mia, non sono fidanzata, non ho figli... Mentre io, invece, con filosofia, mi sento molto la versione femminile, magari meno sbandata, di Drugo Lebowski, intenta a farmi risarcire un tappeto orrendo che però a me piaceva un casino.
"Tu non capisci qual è il vero problema ", per me, il vero problema è che non trovo un ragazzo decente che valga la pena d'infilare nel mio letto (a che serve avere così tanti corteggiatori se poi non me ne piace nessuno?) e che non ho modo di godermi la vita tanto quanto vorrei.
Ho 29 anni suonati e mi piace ancora angosciarmi per libri deprimenti attraverso la lettura dei quali dare sfogo a tutto il mio bisogno di empatia con scrittori morti, passare le ore notturne a cercare e ricercare cose inutili in giro per la rete, rammaricarmi per non avere imparato a dipingere, fissare il soffitto fantasticando su solo-dio-sa-cosa, passeggiare a vuoto per la città, entusiasmarmi per i successi degli altri e per il fermento del Teatro Valle Occupato.
Quando si fa l'ora, me ne vado a lavoro, con la mia solita aria alla Pippi Calzelunghe ed un sorriso sulle labbra; quando mi ricordo faccio anche la spesa, e se mi dimentico c'è pur sempre il kebabbaro vicino casa.
Mi sono messa in testa di ricominciare a tenere un blog. Qualcuno accorra, cerchi di dissuadermi, vi prego.
Io sono l'insoddisfazione fatta persona, oltre essere una perfezionista maniacale.
Ora, ditemi, se vi riesce: come può, una come me, fare video per YouTube e gestire un blog personale?
"Ostriche e ostetrici" era la prova di quanto ho appena scritto: non era un blog, non sapevo renderlo un semplice blog.
Tutto. Volevo metterci dentro tutto.
Fra teatro, letteratura, musica e chi più ne ha, più ne metta, il mio blog non si limitava allo sfogo sporadico di una 23enne, ma si era trasformato in un vero e proprio lavoro. Indimenticabili le ricerche forsennate per rendere degni di nota i post su Vincenzo Pirrotta e sulle sculture di Giacometti.
Ho sempre desiderato di saper scrivere bene, un italiano impeccabile e milioni di idee innovative e trovate espressivo-poetiche uniche e di classe ma, dire che sono negata è riduttivo.
Il punto, diciamolo, è che io vorrei scrivere come Rilke, e non come Moccia: non mi accontenterei.
I primi a seguire i miei video su YouTube hanno notato soprattutto l'inquadratura. Beh, il mio intento è proprio quello di vedere quanto oltre arriviate. Perché ho scelto proprio quell'inquadratura? Semplice, perché me lo posso permettere. Armi di distrazione di massa, altresì dette tette.
Crescerò, domani. Ma domani.
Per il momento, vado a caccia di un'emozione unica ed irripetibile, come ogni emozione possibile. :)


Il tempo si perde, si trova, si allunga, si accorcia
si accumula, si divide, si guadagna, si perde
non c'è altro da fare
che perdersi nel proprio tempo
con intelligenza
(G.L.Ferretti)


venerdì 2 settembre 2011

dal mio Ostriche e Ostetrici #5


Acidità siracusane. Che adorabile testa di cavolo che ero. XD


17 Giugno 2007

Un mio collega, in aula, mi vede seduta, braccia conserte e fogli da schizzo davanti, lo sguardo perso nel vuoto. Si avvicina e mi chiede:
"Che fai?",
"Faccio quello che fate tutti.", guardandolo di scorcio,
"Cioè?", affatto incuriosito,
"Aspetto di morire.", scendendo i piedi dalla sedia sulla quale li avevo poggiati e riprendendo a disegnare.
Mi diverte rendermi antipatica a quelle teste di cazzo di universitari di cui, a malincuore, anch'io faccio parte.
La mia non è misantropia: non odio tutti gli esseri umani, solo gran parte di essi.
Ammetto quanto i miei colleghi di facoltà siano dei privilegiati a godere a pieno della mia nausea.
A Catania ci sono molti universitari interessanti. Si vede che i particolarmente idioti siano destinati ad arrivare alla facoltà di architettura di Siracusa, considerando il vasto campionario di cui disponiamo.
[...]
Come faccio ad aprire loro gli occhi e ad istigarli a sfidare loro stessi?
Aprire loro gli occhi?! Dovrei essere io ad aprire loro gli occhi?!? E chi sono, Dio??? (...Cazzo, non sono Dio????? O_o)



Apri gli occhi, un mattino. Ci sei. Ci sei ancora.
In genere, la mattina ti svegli pensando: "Cazzo, esisto ancora. Stamattina mi sono svegliato, ancora una volta..", con una sensazione a metà strada tra delusione e rassegnazione.
E' un dolore che, giorno dopo giorno, ti ritrovi a dover accettare, e ad ogni risveglio quel dolore è immacolato e vergine.
Ci si abitua alla vita, ma non a doverne subire l'inizio ogni sacrosanta mattina.
(14 Marzo 2007 - dal mio Ostriche e Ostetrici)


giovedì 1 settembre 2011

molto-ma-non-tutto


Maggio 2011

Al pub. Un qualsiasi pub. Un ragazzo si avvicina a me, ed io lo lascio avvicinare. E' passata un'ora, quando lo lascio avvicinare "di più", anche troppo. E’ sfacciato, ed io decido di stare al gioco.
Mi parla, sorride, fa il figo. Bello, è proprio bello. E non me ne frega un accidente.
Notare le mie autoreggenti, lo aveva già fatto: sedendomi, la gonna era salita abbastanza, tanto quanto è giusto che salga per mostrare molto-ma-non-tutto. Ma se lo sguardo arriva sino alle autoreggenti, ora la sua mano arriva ad un perizoma sottile quanto il filo interdentale.
Lui, dopo un’espressione di sorpresa, si sente sicuro di sé, pensando che il dado sia tratto.
Mi dico, <Ma che vuoi da me?>, lui è bello, ha 22 anni e delle belle mani, gli occhi furbi ma non intelligenti. E’ anche lui del sud. Beh, un romano non avrebbe osato così tanto.
Non ho capito come mai anche lui sia solo. Mi ha parlato per un’ora ma, nulla delle cose che mi ha detto ha destato la mia attenzione al punto da ascoltarlo.
Mi dico, di nuovo, <Ma che sto facendo?>, lui non capisce perché la mano sotto la gonna sì, ma baci sulla bocca no. <Non vedi che mi sto prendendo gioco di te, che stai qui, bavoso come un cane, per un paio di tette grosse e delle autoreggenti?>, lo penso, lo taccio.
Faccio due conti rapidi, se torno a casa per togliermi le voglie da sola, gli ortaggi che ho in frigo, fra due ore mi creeranno molti meno problemi che non se mi faccio una sveltina con lui solo per la rabbia che stasera mi ha spinto a venire in questo locale e a lasciare avvicinare troppo questo ragazzo.
Il momento non è più quello giusto per dirgli <Sai, non m'interessano le scopate casuali>, non sarei credibile.
Ho finito il drink, avevo già pagato prima, mi prendo la borsa e me ne vado.
Cerco un altro pub in cui sedermi e bere ancora.
Nel frattempo, continuo a pensare a quel ragazzo. E' solo uno di questi tanti che, guardandomi camminare per strada, mi lasciano gli occhi addosso. Dato che di casini per la testa ne ho già abbastanza, scelgo di metterci su anche un bel carico di riflessioni retoriche.
Tutti questi bei maschietti, capaci di eccitarmi e di disgustarmi al contempo, hanno la malata convinzione che il loro pene, duro a dovere, entrando ed uscendo freneticamente tra le mie cosce ben spalancate, possa risultare eccitante, orgasmico. In un'epoca di veline ed escort, si è indotti a pensare che questo basti.
Belli. Sì, ma hanno bisogno solo di un'anoressica dai finti gemiti, ed una donna come me è troppo per loro: le tengo per me, le mie voglie, non ve le meritate.
<Non mi serve che tu sia vestito griffato, se poi non hai gusto. Non mi servono grandi prestazioni, se poi non hai passione. Difficile da capire, vero?> è l'ultima frase con cui penso al ragazzo del pub.
Mi piacciono i ragazzi che sanno muovere le loro mani sul mio corpo ma, la maggior parte sono degli imbranati. Hanno di certo più esperienza di me, eppure non sanno farci.
Io, invece, quando voglio so vendere bene quello che non sono, ma se ti avvicini troppo, potrei morderti.
Niente altro pub, niente altro drink. Necessito di aria, passeggio. Arrivo a San Silvestro e salgo sull’80 per tornarmene a casa, dove potermi fare accarezzare da una canzone.
La scorsa notte, ho sognato un ragazzo capace di sorrisi sinceri, aveva occhi profondi, ed il coraggio di essere sé stesso; non usava con me la sua bellezza fisica, né i suoi soldi, o la sua fenomenale carriera artistica, né il suo essere un discografico: aveva di meglio da offrirmi. Ho sognato… Ho sognato.


http://www.youtube.com/watch?v=zSid6BsP05s&feature=related


Il primo che venne fu un tale del Kent:
aveva tutto quel che occorre a un uomo.
Un altro era padrone di tre navi
e un terzo era pazzo di me.
Ed avevano soldi
ed erano educati
e, festa o no, puliti e profumati
e sapevano come si parla a una signora.
E a tutti io dissi un bel no.
Un po' di contegno, mia cara,
e serbare distanze.
D'accordo, sì, notte con la luna in cielo,
d'accordo, la barchetta prese il largo.
Ma non diedi altre speranze.
Quello che conta è non lasciarsi andare,
dimostrarsi fredde e dure.
Tante cose potevano avvenire
ma ogni volta la mia bocca disse: No.

da L'Opera Da Tre Soldi di Brecht 

martedì 30 agosto 2011

Non più soli


Ormai sono impazzita, non c'è speranza di farmi rinsavire. La cosa mi piace, mi elettrizza.
E' come se a Gennaio mi fosse stata data una nuova vita, ed ora mi trovassi a dovermi giocare le carte di una nuova partita.
La cosa più entusiasmante è che: ho voglia di giocarmi questa partita.
E' vero, l'ho voluta questa "guarigione", l'ho desiderata con tutta me stessa, e voglio fare tutto il possibile, e anche l'impossibile, per far fruttare al meglio i miei sacrifici.
Il mio super visore al lavoro, dopo avermi chiamato per nome, ha aggiunto "sempre sorridente", con aria meravigliata.
Beh, già facciamo un lavoro orribile, se non ci mettessimo neanche un sorriso, sarebbe la fine.
Lì sono tutti col muso lungo e, arrivata una come me, tra loro musoni, ha fatto furore: uso l'agenda per gestire gli appuntamenti con i ragazzi.
Lo so, è da vera presuntuosa dirlo, ma se è la verità, che posso farci!?
Non mi piace nessuno di loro, ma perché rifiutare un invito ad uscire? Sono tutti bei ragazzi; è quando li senti parlare che cambi idea; non intendo dire che siano stupidi, affatto, ma sono tutte persone che si sentono senza speranza, e questo mi fa temere che anche un semplice aperitivo insieme, possa rivelarsi pericoloso per un possibile contagio.
Dall'altro canto, chi la spegne quell'atomica che ho innescata in petto adesso?
So bene, come chiunque altro, cosa significhi sentirsi perdenti, finiti, cadere e non riuscire a rialzarsi, non arrivare a fine mese, passare la vita in giro, stare in bilico.
Però, oggi riesco di nuovo a credere nelle persone, soprattutto nei giovanissimi e nei ragazzi della mia età, nella mia Italia di cui sono stanca di dovermi vergognare, nel futuro di questa nazione ridotta in ginocchio da potenti deplorevoli.
"Quando si tocca il fondo, si può solo risalire". No, io ho scavato, ho scavato a fondo, a lungo.
Ora mi guardo intorno e, oltre l'agenda con gli appuntamenti, vedo il Valle occupato, vedo le majors affondare, vedo i musicisti, gli artisti intenzionati a farsi rispettare, i precari incazzati, gli studenti e i pensionati nelle piazze. Ed ora, in prima fila, non sono più la sola: soli, quanto eravamo soli quando avevo 20 anni ed un megafono in mano e stavamo in strada con addosso gli occhi dei nostri colleghi di facoltà, attenti a guardarci dal marciapiede di fronte, come se noi e loro non fossimo la stessa cosa.
Ok, io sono sempre stata una testa calda, ma loro erano solo "figli di" senza voglia di rivalsa.
Forse, proprio perché ero nessuno, avevo maggiore libertà d'incazzarmi.
I tempi stanno cambiando, l'Italia sta cambiando, le persone stanno cambiando, e io riesco di nuovo a credere in ciò che scrivo.
Non so più quanto concordo con "Uscì il seminatore a seminare i suoi semi" di Puskin.
Penso che riprenderò l'università, ché sono proprio una cogliona ad avere abbandonato un corso di laurea quinquennale, con due terzi degli esami già sostenuti. Sì, ok, tre anni di stasi, dovrò pagare un botto di tasse arretrate con mora, ma.... "Non è mai troppo tardi per studiare" (cit.). Io dico che ne vale la pena tentare.
Ho scoperto che, persone che un tempo mi seguivano e rincorrevano in giro per blog e network, persone che mi sostenevano, mi stimavano, che credevano in me, sono ancora lì, nell'ombra, ad osservarmi, in attesa di vedermi spaccare tutto, di nuovo, come ai vecchi tempi. Mi hanno emozionato, è anche per loro che ora sto scrivendo questo post.
Vorrei che anche il mio blog fosse diverso, rispetto agli ultimi anni; ma, se di presenza sono una vera demente, quando scrivo divento viscerale, è un bisogno incondizionato.
"Delirium ed il suo doppio", con l'amichevole partecipazione di Artaud. :P

http://www.youtube.com/watch?v=o13qRTi8XnI


venerdì 26 agosto 2011

D’anime e d’animali


Orfano di sinistra vuol dire che una famiglia, genetico-politica, l’avevo. Che non l’abbia più, l’ho vista morire, l’ho sepolta, non significa che sono disponibile al farmi adottare. Ho superato la fase del lutto e del cordoglio, mi tengo disponibile, se il caso, per il pianto rituale.

Giovanni Lindo Ferretti


martedì 23 agosto 2011

Colla #4



24 Maggio 2007 COLLA

"Ti salverò dal mondo e da tutto quello che ti sta facendo impazzire. Coltiverò la tua follia e le darò il nome amore."
Per quanto io apprezzi Neruda, non sopporto più di ricevere messaggi al cellulare, con su scritta questa frase, ad intervalli più o meno regolari di due mesi, considerando pure che la cosa va avanti da più di due anni.
Sonia ha accettato la sua sessualità dopo aver trascorso ore e ore nello studio di un analista ed essersi conquistata una nuova etichetta da sfoggiare. Ancora qualcosa le manca, accettare che io ora cerchi un uomo, e che dopo avere conosciuto ed amato Germana, non tornerei ad un amore liceale.
Innervosita da Sonia, dagli sciocchi docenti universitari, e dalla settimana trascorsa a Siracusa, stanotte ho spogliato i muri dai vari poster e manifesti attaccati. Ho lasciato solo l'angelo robotico disegnato da Carlo. Ho raccolto e chiuso in uno scatolo di cartone candele e ninnoli vari.
La mia vita è spoglia e provo ad esprimere il mio stato d'animo attraverso la mia casa. Per meglio rendere l'idea, dovrei colorare le pareti di un blu forte, ma ciò non è possibile.
Devo ancora rispondere alle lettere del Prof. Viagrande, ansioso di ricevere mie notizie. Preoccupato per il mio silenzio, consapevole della causa, teme di poter ricevere notizia del mio suicidio. La sola idea suscita in me una grottesca ilarità. Povero Prof., lui che da dietro una cattedra spiegava Nietzsche ad una classe che proprio non voleva saperne.
La sua pupilla anarchica, ardimentosa, affatto studiosa ma, "arguta" (a detta sua), ora lo spinge ad una corrispondenza parsimoniosa o frenetica, in base a periodi e stati d'animo. Sembro mancargli nei periodi d'assenza, e ciò mi conforta almeno un po'.
Tornando alla notte passata a denudare pareti e a lavorare carta pesta, ora mi sento come se vi fosse colla ovunque. Ritagli di giornale e polvere e umidità mi restano attaccati addosso, sulle braccia, sulle mie cosce bianche e nude, sotto i miei piedi scalzi. Il laboratorio ha sembianze d'un campo di battaglia: sono io che lotto con la mia esistenza, schermandomi dietro bacinelle d'acqua e coccaina. Vani risultano i tentativi di non lasciarmi attaccare addosso l'esistere, con i suoi dolori compresi nel prezzo, pacco convenienza.
Colla, colla ovunque, colla sempre. Cerco di divincolarmi mentre la vita accartoccia le mie budella, mi annoda le dita, mi spintona lungo il corridoio di casa così vuoto, buio, con pareti immateriali tanto da farmi sentire su un'autostrada. L'inganno.
Credo di sentire marciare. Mandano delle truppe a salvarmi! No, è ancora l'esistere. Colla, colla ovunque, colla sempre. Anche in bocca, pastosa; negli occhi, socchiusi.
In questa Siracusa non resisto più, sopporto solo il mio appartamento, l'unico al quale sia davvero legata. I suoi muri non riparano il mio corpo, preservano la mia anima.
Ho ceduto alla tentazione di strani rituali ieri, subito dopo pranzo. Il desiderio di rivivere tempi passati è prevaricato sulla razionalità. Vecchi tempi, quando casa mia era soprannominata "la casa del popolo", luogo dove gustare un buon caffé dopo pranzo, o la tanto elogiata cioccolata calda pomeridiana, dove organizzare serate di cineDollforum il giovedì sera, parlare di politica, preparare pranzi domenicali per non meno di dieci persone (considerevole per una che come me detesta cucinare).
...
Negli ultimi tre anni, rivivendo Catania e godendo della sua vita notturna, qualcosa ancora celato in me è tornato, prendendo il sopravvento.
Andrò a sistemare la valigia, domani mattina prenderò il bus delle dieci per tornare nella mia città. Calze viola a rete, gonna nera e corta, corpino con scollatura eccessiva, stivali neri, polsino e cintura borchiati, smalto livido, borsa maculata bianco-nero mi attendono per una notte catanese di rum e vodka e opal nera, d'inutili incontri, di silenzi e false risate, di ultraquarantenni bavosi e volgari pronti a saltare addosso ad un minimo cenno, di compagnie casuali, di musica di merda nei locali, di punk-a-bestia del cazzo in ogni dove, di nazi mafiosi e violenti, inebetiti, ed io in viaggio, vagante, sola, inutile. ...I am the passenger and I ride and I ride I ride through the city's backsides I see the stars come out of the sky Yeah, the bright and hollow sky....

Guardo il mio braccio sanguinare, la mia mente cadere, il mio ventre incresparsi.. Colla, colla ovunque, colla sempre.
Si chiude il sipario. Musica!


Oh, the passenger
How, how he rides
Oh, the passenger
He rides and he rides
He looks through his window
What does he see?
He sees the sign and hollow sky
He sees the stars come out tonight
He sees the city's ripped backsides
He sees the winding ocean drive
And everything was made for you and me
All of it was made for you and me
'Cause it just belongs to you and me
So let's take a ride and see what's mine
Singing la la la la.. lala la la

domenica 21 agosto 2011

Le città invisibili #3

15 ottobre 2006

Tra me e Germana era finita da tempo, quando, per il compleanno, le regalo "Le Città Invisibili" di Calvino, con scritto "Perché, se ti smarrirai per le strade di queste città, c’incontreremo.".

Perché mi sento meno sola quando tornata a casa mi chiudo la porta alle spalle, lasciando fuori il mondo; mi sento meno sola quando ceno davanti al computer cantando ad alta voce per annientare il silenzio di una casa vuota, prima che sia il silenzio ad annientare me; mi sento meno sola quando trovo il letto vuoto e a riscaldarmi null’altro che una coperta; mi sento meno sola quando nelle notti insonni scendo a passeggiare al porto o alla Fonte Aretusa attendendo di vedere spuntare l’alba tra i vicoli fatiscenti di Ortigia. Mi sento meno sola di quando in aula provo a relazionarmi con i miei colleghi, senza riuscirvi.

martedì 16 agosto 2011

Animali di città #2



Animali di città _n.1  (24 Dicembre 2006)

Sto tornando a casa da lezione percorrendo i vicoli e i ronchi di questa fatiscente Ortigia. Appena imboccata via Roma, sento un odore a me familiare. E' l'odore di "casa"; perché Siracusa ha un odore diverso da Catania, e sentirlo mi ricorda che, o nel bene o nel male, anche questa è "casa". Sento appartenermi l'odore della strada che percorro.
Non si tratta di un profumo gradevole, non si tratta di un dolce odore. Sa di strada, della polvere di pietra gialla di cui sono fatte qui le case, sa del vapore della lavanderia all'angolo, di brezza marina, di alghe, di cielo. Sa di asfalto, di città rumorosa, di una vecchia affacciata alla finestra. Sa di voci e chiacchiericcio indistinti.
Penso che mi piacerebbe chiuderlo in una bottiglietta di vetro sottile, come quelle in cui mettono all'interno le miniature di vascelli, o come quelle disegnate nei libri per bambini, galleggianti in mezzo al mare, contenenti un messaggio pieno di speranze, mi piacerebbe rinchiudere l'odore in una bottiglia simile e portartela per farti sentire il mio odore di "casa". Se.. se, se, se, se, se, se... il "se" rimane pur sempre un "se", e prendo consapevolezza di come, anche riuscendo a chiudere l'odore in una bottiglia, tu non potresti comunque sentire le emozioni che provo io a trovarmici immersa, ma un semplice odore. Prendo consapevolezza di come il mezzo della lingua sia fatuo nel descrivere certe sensazioni ma, ciò che ancor più dolora, di quanto anche la materialità delle cose possa risultare inutile, superflua, ingannevole, individuale.
Mi perdo tra le mille immagini che scorrono veloci sotto i miei occhi, come al cinema, e mi sento dentro un'immensa pellicola, quando penso che ti scriverò dell'odore, ancora compagno fedele d'ogni mio passo.
Continuo a camminare, senza più sentire di farlo. Metto il piede destro avanti, lasciando indietro il sinistro, metto il piede sinistro avanti, lasciando indietro il destro. E ancora, ancora.. pesto una cicca ancora accesa, evito un chewing gum, una mattonella, due mattonelle, tre mattonelle...
Cerco le chiavi in borsa, le trovo e apro il portone, tutto senza quasi fermare il mio andare, salgo le scale al ritmo di una musica che non c'è. Apro la porta di casa, entro, mi fermo. Sento lo strofinio del raso sul maglione rosa con i fioroni, lasciando scivolare il giubbotto di pelle dalle spalle.
Accendo il computer. Apro il winamp. Trovo la lista di brani ascoltata prima di andare in facoltà e premo play.
Non dovevo scriverti dell'odore?! ....start; programmi; microsoft office; word!
Abbasso la musica per sentire più forte i miei pensieri. Abbasso ancora un po'. Così va bene, quasi di sottofondo. Ma no, abbasso ancora, ancora un po'.. e ancora.. dai, abbassa ancora. E' al minimo. Abbassa, abbassa.. Il volume è a zero.
Dal silenzio, inizio a scriverti queste parole.




Animali di città _n.2  (27 Febbraio 2007)

Odori. Odori. Ancora odori. Odori dappertutto.
Inizio a convincermi che Siracusa sia una matassa ingarbugliata di odori, ingarbugliata come lo sono i gomitoli di lana.
Mi sa proprio che i palazzi, le strade, i marciapiedi, le piazze non esistano nella realtà ma, scaturiscano dalla mia immaginazione, stimolata da incroci sbilenchi di diversi profumi.
Dalla facoltà ai villini ho incontrato odore dello scarico delle auto intente a tormentare Ortigia, odore di assenza in Piazza Duomo. Poi, di polvere di cantiere, di fogna, l'odore rotondo di acqua marina mista a catrame, oltrepassando il ponte. Percorrendo una delle vie secondarie del Corso Umberto, sono stata investita da un fortissimo odore di fiori; ho alzato la testa e li ho cercati, ma non vi erano fiori intorno a me, e non sono, dunque, riuscita a scoprire da dove arrivasse il profumo.
Stamane, passando da via Logoteta, un altro odore mi ha accolto, come a darmi il benvenuto al mio rientro da Catania. In quella strada vi è una falegnameria che colma l'intero vicolo dell'odore del legno lavorato, dell'odore del legno piallato, dell'odore del legno lucidato, stagionato, segato, sbriciolato.
Ora, abbandono il ricordo del legno per far spazio a quello malleabile dell'umidità adagiata su ogni singola cosa d'Ortigia e dintorni.
Ho camminato mantenendo un gran silenzio, un silenzio così forte, così vero, così crudele.
Il silenzio s'impone a me, amplificando i lievi scroscii di una città muta solo in apparenza.
Tutto parla al posto mio; parlano le foglie che rotolano per il vento, o per il passaggio di un'auto, e quelle secche che calpesto senza ritegno, parlano i copertoni rotolando sull'asfalto come delfini stanchi ma obbedienti.
Romba un motorino così forte da assordarmi. Mi sembra quasi di non vedere più, per quanto i miei sensi sono provati da un simile frastuono. Ma no, dai... E' solo un motorino!
Non è quello a rombare troppo forte, è questo silenzio che mozza la lingua e il fiato, ad esser troppo forte.
Riesco a sentire il rumore dei miei jeans strusciare sulle adidas che porto ai piedi. Ed i miei passi? Tonfi immensi, infiniti, sconfinati, orizzontici, atroci.
Inizio a sentir freddo seduta sulla panchina del porto, e la mia pelle d'oca, dalla schiena sino al collo, anche di quell'incresparsi inizio a sentire il rumore.
E poi, voglio andar via, le voci in lontananza m'infastidiscono per la troppa invidia suscitata nel derelitto cuore che nascondo in petto.

venerdì 5 agosto 2011

Trasferimento a Roma #1


Luglio 2007 (ultimi preparativi per il mio trasferimento a Roma)


- "Te lo cucio io il bottone?",
- "No, mamma.. me lo cucio da sola...",
- "Ma se non sei capace?!",
- "Mamma, progetto architetture, analizzo interi territori urbani per riprogettarli, restauro casali antichi.. Vuoi che non riesca a cucire un bottone?!?".
Venti minuti dopo: "Mamma me lo attacchi 'sto coso?".

Ho trovato nel mio cassetto, un foglio piegato in quattro: il testamento di mia madre, scritto dopo l'ultimo litigio con quello schifoso di mio padre, dove ha scritto di lasciare ogni suo bene a me, l'unica cosa che abbia amato più della sua stessa vita.
Ed io, che faccio? Progetto di abbandonarla.
Aveva vissuto male il mio trasferimento a Siracusa, quando rientravo a Catania ogni tre mesi, "a soli diciannove anni, che premura hai avuto...".
Quando le dico di venire via con me, di trasferirsi col lavoro, "gli uffici finanziari esistono anche nelle altre città", reagisce come se stessi bestemmiando, "ti lascio portare anche il gatto, se vuoi!".
Lei stessa ripete che "i figli, prima o poi, se ne vanno", rimproverando a me di essermene andata troppo presto. Non sa che se avessi avuto le palle di farlo a quindici anni.....
Non vorrei lasciarla sola con mio padre ma, lei non lo lascerà mai, ed io non posso continuare a star qui per lei.
Pensare di ricominciare da zero, in un'altra città, ora mi spaventa. A diciannove anni avevo una dose d'incoscienza tale da aver cercato casa, averla trovata, aver raccolto l'indispensabile ed essere andata via, tutto nell'arco di venti giorni.
La dose d'incoscienza è andata perduta oramai.
Dopo sei anni di vicoli e ronchi, dovrò abituarmi alla parola "viale". Mi chiedo se sopravvivrò in una Città: per me che sono di Catania, sarà come arrivare dalla provincia.
Trovare una camera è davvero arduo, ed eviterei con piacere di convivere con delle femmine, siamo troppo isteriche per andare d'accordo. Ancora di più, temo impasticcati e cannati, di quei tipi rincoglioniti tutto il giorno, come appena usciti da una tavola di Pazienza, "hai fumo? ..hai fumo?? ..hai fumo??? ..ci facciamo 'na canna? ...passa.... passa passa.. passa..".
Chissà che non trovi un lavoretto part time, per le ore in cui non sarò all'università.
Andrea Gore Trip, saputa la notizia, ha iniziato a stilare un dettagliato elenco di cose da fare a Bologna durante i weekend. Mi ha parlato così tante volte del suo studio di pittura e fotografia che mi sembra conoscerlo di già. Mi ha preoccupato sentirgli nominare i Razorblades Sky e i Nails Underground, "quando Mario torna dalla Francia.. se siamo di nuovo tutti insieme..", non possiamo continuare a fare cover come quand'eravamo ragazzini, ma Andrea e Daniel sono dei nostalgici inguaribili, proprio come me. Non voglio comunque far rinascere vecchi miti, o rimettere insieme i pezzi di tempi ormai andati, il passato è e resta passato.
Penso alle cose che lascerò qui: le mie tartarugone, le mie piante grasse, il mio allevamento di chiocciole, i terrazzi di casa a Catania con le mattonelle in cotto, ché quando ti ci sdrai nudo la notte, per guardare le stelle, senti il calore che sprigionano dopo una giornata di sole. Lascerò qui i super coni gelato al cioccolato e strega di Raffaella. Penso che lascerò qui Gaetano e la sua aria sognante, la sua bocca famelica di cui ho potuto godere una sola notte, che non gli passerò più le dita tra i capelli biondi e lunghi dicendogli quanto è bello, per vederlo arrossire e aggiungere "e quando arrossisci sei ancora più bello", andando via veloce, sorridendogli con dolcezza.
Lascerò qui Attilio e le spogliarelliste del F.B., e Paolino che da dietro il bancone del locale, accompagnato da disordinati rintocchi di campana, mi dice "devi tesserare anche le tette per poter entrare!", "Paolo, ho due tessere, una per me e una per le tette..", "Per te ce ne vogliono 3!!", e lascerò qui i motociclisti, lascerò qui Enrico "Paolo, fammi il solito... acqua e ghiaccio!" per il quale avrei perduto la testa se solo avessi avuto anch'io sedicianni, i bagni del F.B. (come farò senza quei bagni?!)..
Lascerò qui il profumo di mare che invade la cucina quando la mattina alle 7, non appena alzata, apro il balcone di Siracusa.
Lascerò qui Denim, portando con me il peso d'un amore solitario.
Ma soprattutto, lascio qui mia madre e non trovo neanche un modo per chiederle scusa.

giovedì 4 agosto 2011

"La leggerezza del vivere"


La tua vita va a rotoli, seriamente a rotoli. Neanche le cose per cui hai sempre vissuto, come la musica e l'arte, riescono più a darti emozioni.
Tutta la tua attenzione è concentrata sulla fuga che sogni, via, lontano da una Sicilia che non ti ha dato nulla e che ti ha pure tolto il poco che avevi, mese dopo mese, anno dopo anno, indifferente alle tue estenuanti lotte e rivoluzioni. Una Sicilia che non vuole cambiare, né evolversi.
E' lì che la tua strada si incrocia con una persona capace di svegliarti qualcosa. (No, non l'amore, non credevo nell'amore neanche a 15 anni).
Passano quattro anni e mezzo, durante i quali ti trasferisci a Roma, cambi casa e coinquilini più volte, lasci l'università proprio alla fine del corso di studi buttando al cesso anni di studio e sacrifici, mandi in malora il lavoro che tanto amavi, le tue passioni, i tuoi blog e le persone che ti seguivano e apprezzavano, e ti accorgi di come quell'uomo, capace d'emozionarti e capirti, è più l'energia vitale che ti prosciuga, che non la carica che ti dà. Un vampiro, che in quattro anni e mezzo si prende tutto, come una puttana stanca, invidiosa, perennemente insoddisfatta e cieca, senza le palle per divincolarsi da obblighi imposti da famiglia e società, perennemente depresso ed in fuga più di quanto non lo fossi stata tu quando lo incontrasti la prima volta. Ti penti amaramente di aver organizzato quel suo fottuto concerto nella tua città.
I viaggi segreti, gli incontri segreti, le scopate segrete e di gran corsa..... Ma vaffanculo.
Quando dico di essere una dall'animo libero, lo dico con cognizione di causa: lui sa essere libero solo a parole, perché troppo intento a stare al guinzaglio di quello che vuole la sua famiglia e la società.
La società.... Questa parola mi fa venire l'orticaria.
"La leggerezza del vivere", diceva, sì, peccato che lui non sappia neanche lontanamente come raggiungerla.
Chissà che questo inutile 2011 non serva a qualcosa, ad esempio, ad incazzarmi come si deve: non con lui, lui è solo un poveraccio depresso ed impotente, piagnucolone; chissà che non riesca ad incazzarmi con me stessa, per tutto il tempo sprecato.
Non ci siamo definitivamente rotte il cazzo, Delirium?!
Emilia Paranoica (il mio Mac) mi sa che approva.

Voglio tornare ad essere un'atomica in costante esplosione.